di Carola Lodari
Nel vasto e bizzarro mondo delle piante succulente è compreso il carismatico gruppo delle Aloe, particolarmente interessante non solo per l’arricchimento che porta all’ambiente naturale in termini di biodiversità e alla botanica pura, ma anche per l’utilizzo pratico e ornamentale che di queste piante si può fare. Il genere Áloë (per una corretta pronuncia il nome latino andrebbe scritto con l’accento sulla A iniziale e con una dieresi sulla e finale ad indicare che non si tratta di un dittongo) prende il suo nome forse da un termine arabo o ebraico (halal) che significa “amaro” o dal greco antico als–alos che significa “sale”, in entrambi i casi con riferimento al tipico sapore amaro delle foglie.
Il genere Aloe, appartenente alla famiglia delle Liliaceae (o Aloeaceae), comprende circa 300 specie o meglio le comprendeva, dato che nel 2013 è stata fatta una sua revisione tassonomica che ha portato a una differente nomenclatura di alcune specie che sono state trasferite ad altri generi di nuova creazione quali Aloidendron (aloe arboree) e Aloiampelos (aloe rampicanti).Le aloe, di cui la più nota è certo A. vera sono perlopiù piante erbacee perenni originarie del continente africano, 125 specie sono native del Sudafrica, diffuse ormai anche in zone tropicali e subtropicali di altri continenti dove sussistano le condizioni naturali (calore e luminosità) favorevoli alla loro crescita o coltivazione.
Queste piante si distinguono per le rosette di foglie carnose ricche di parenchima acquoso, portate su un fusto legnoso più o meno lungo o anche del tutto assente, ricoperte da una spessa cuticola cerosa finalizzata a ridurre le perdite di acqua dai tessuti vivi e con il margine spinoso per dissuadere eventuali predatori assetati degli ambienti desertici. Producono un asse infiorescenziale piuttosto alto e eretto (esistono però anche specie a racemo fiorale quasi prostrato) rispetto alle dimensioni delle rosette fogliari. Questo racemo porta un grappolo di fiori penduli tubolari, di solito in diverse tonalità di giallo o di rosso, dai quali al termine della fioritura si sviluppano frutti in forma di cassule contenenti i semi. Per garantirsi il superamento di lunghi periodi di siccità le aloe adottano il sistema metabolico CAM (Crassulacean Acid Metabolism) grazie al quale gli stomi, minuscole aperture presenti sulle foglie, si aprono soltanto di notte per assorbire l’anidride carbonica (indispensabile per compiere la fotosintesi) quando le temperature dell’aria sono più basse riuscendo così a ridurre le perdite acquose. Non solo, ma le aloe sono anche in grado di formare una simbiosi (nota come AM, “Arbuscular Mycorrhiza”) con alcuni funghi (Glomus clarum, Gigaspora decipiens) che crescendo nelle loro radici facilitano l’estrazione di elementi nutritivi dal terreno, soprattutto fosforo e azoto. Il micelio extraradicale del fungo assorbe tali elementi, li trasferisce al micelio intraradicale che li cede alla pianta ospite ricevendo in cambio da quest’ultima i carboidrati prodotti per mezzo della fotosintesi. Esperimenti condotti inoculando le piante di A. vera con spore fungine hanno accertato una produzione di foglie in numero superiore e di maggiore lunghezza.
Si ritiene che Aloe vera (suoi molti sinonimi: A. perfoliata var. vera, A. vulgaris, A. barbadensis, A. indica, A. arabica, in inglese detta “Barbados aloe”) sia originaria dell’Africa settentrionale (Isole di Capo Verde, Canarie, Sudan) e della penisola arabica, ma oggi è presente in natura anche nel bacino Mediterraneo e in Asia (India e Cina). Dopo che venne introdotta in America con le spedizioni di Colombo la si ritrova oggi soprattutto alle Antille (aloe delle Barbados), in Messico e in tutta l’America meridionale. Di gran lunga la specie più coltivata per le sue molteplici possibilità di utilizzo, ha bisogno di 320 giorni di sole all’anno per crescere bene e poter essere raccolta intorno a 3 o 4 anni d’età. Questa erbacea perenne presenta foglie spesse e carnose grigio-verdi, a volte chiazzate di rosso (in particolare le piante giovani) che possono ingiallire a causa di un’esposizione solare eccessiva o diventare rossicce in terreni troppo poveri e aridi. Una singola bella foglia può arrivare alla lunghezza di anche ben oltre mezzo metro e a un peso di quasi due chilogrammi a causa del ricco contenuto di succo gelatinoso. Se una foglia viene tagliata, la ferita cicatrizza quasi subito perché la pianta per proteggersi emette un essudato che impedisce la fuoriuscita della linfa che è un liquido non colloso molto amaro sgradito agli animali. Nella porzione più interna della foglia si trova un gel pressoché incolore che contiene numerosi amminoacidi benefici e un principio attivo chiamato aloina isolato dai ricercatori per la prima volta nel 1852. Le radici della pianta sono corte e orizzontali. Dalla primavera produce racemi alti fino a 90 cm, talvolta ramificati, di fiori gialli lunghi 3 cm. Aloe vera var. chinensis è una varietà pregiata, usata nella medicina cinese per il ricco contenuto di sali minerali (magnesio, calcio e potassio); ha foglie con vistose spine bianche e chiazze chiare, produce fiori arancione chiaro.
L’impiego dell’Aloe vera per scopi medicinali ha origine molto antica, risalirebbe all’epoca dei Sumeri, intorno al 2100 a. C., ma forse anche da molto prima. Le si riconosceva una qualità divina grazie alla sua capacità di liberare il corpo da tanti malanni. In Egitto se ne usava il succo per pulire la pelle, per conservare i corpi dei defunti (grazie al suo effetto antifungino e antibatterico). Greci e Romani la usavano per far guarire ferite e bruciature e contrastare problemi gastrointestinali. Dopo alterni periodi di popolarità e abbandono, A. vera è considerata ai nostri giorni un utile rimedio per abbassare i livelli di colesterolo, regolare il livello di zuccheri nel sangue, lenire le infiammazioni cutanee. In farmacologia il succo essiccato, di sapore molto amaro, ottenuto dalle foglie con diverse modalità di condensazione e ridotto in compresse agisce sull’intestino con effetto eupetico (favorisce la secrezione del succo gastrico, stimola l’appetito e la digestione), lassativo e purgante; rientra nella composizione di alcuni liquori e bevande digestive. Contiene tra l’altro vitamina A, E, B₁₂ e C. Se ne fa pure un impiego esterno cosmetico per idratare la pelle secca e screpolata, come doposole e per alleviare punture d’insetti e pruriti. Si produce anche un incenso (spesso mescolato a mirra) da bruciare per purificare gli ambienti. Dalle foglie di quest’aloe e altre simili si possono ottenere delle fibre usate nelle Indie orientali e occidentali per produrre tessuti (canapa d’aloe).
Molto affine alla specie precedente è Aloe arborescens (in inglese “Candelabra aloe”) a sviluppo maggiore, fino a 4 metri, con tronco centrale legnoso dalla ramificazione un po’ disordinata. Originaria delle zone montagnose dell’Africa meridionale, è coltivata in vari luoghi del mondo con clima tropicale. In Europa la pianta fu introdotta dalla Compagnia Olandese delle Indie Orientali nel XVII secolo e contemporaneamente anche in Giappone dove si è naturalizzata (venne usata dopo il disastro di Hiroshima per curare le ustioni causate dalla bomba atomica). Sopporta periodi di siccità pur preferendo climi temperato-caldi relativamente umidi. In Portogallo è diventata una specie invadente. Possiede foglie strette verde scuro, lunghe solo 30-70 cm e con peso massimo di 150-250 grammi, con margine a dentellatura spinosa e cuticola molto spessa che rende la pianta più resistente al freddo (temperature di poco sotto 0°C). Ha un contenuto di gel inferiore rispetto ad A. vera, possiede una maggiore concentrazione di principi attivi, tre volte superiore, con le medesime indicazioni curative. Risulta dunque più efficace di A. vera ma a causa della bassa resa per foglia, del tanto lavoro manuale necessario per ricavarne il succo, il suo costo è piuttosto elevato. La fioritura ha luogo da dicembre con l’emissione di racemi fiorali alti fino a 80 cm portanti fiori rosso scarlatto o arancio; ce ne sono cultivar anche a fiore giallo come ‘Andy’s Yellow’. Questa specie si ibrida molto facilmente con altre.
Aloe ferox, nativa del Sudafrica (“Cape aloe”, aloe del Capo), alta fino a 3 metri, ha un impiego medicinale analogo alle specie precedenti e anche ornamentale in virtù delle sue belle foglie lunghe fino a 1 m e larghe 15 cm, di colore verde spento talvolta sfumato di rosso, spinose soprattutto sul lembo inferiore, con robusta dentellatura marginale rossiccia; le infiorescenze portano fiori scarlatti a volte rosso arancione. Ha bisogno di inverni senza gelo e estati caldo-umide. Questa specie tende a ibridarsi con A. africana, pure originaria della provincia del Capo, che lentamente cresce fino a 2-4 m d’altezza e produce foglie sottili incurvate, grigio-verdi e spinose, e racemi di fiori giallo-arancio tipicamente ripiegati all’in su. Nella regione del Capo Occidentale A. succotrina e A. maculata insieme con A. plicatilis (Kumara plicatilis) e Aloiampelos commixta colonizzano il “fynbos” (in afrikaans “boscaglia fine”), un territorio di fascia costiera nella Provincia del Capo occidentale con aree montane e piogge invernali, caratterizzato da vegetazione arbustiva e una grande biodiversità (con piante sempreverdi sclerofille come Protea, Leucospermum, Erica). A. succotrina, a fiori rossi, viene impollinata dai “sunbirds”, un particolare tipo di passeri che visitano pure numerose altre aloe.
Va ricordato che tutte le aloe utili, se usate in modo scorretto a dosi eccessive, possono risultare dannose per la salute. Esistono poi anche aloe velenose come ad esempio A. ruspoliana, nativa di Etiopia e Kenya, oppure A. ballyi e A. elata native di Kenya e Tanzania, dette anche “aloe dei topi” per il loro particolare odore. Le foglie di queste piante contengono l’alcaloide coniceina e costituiscono un pericolo anche per il bestiame al pascolo.
Il genere Aloiampelos (in greco antico ampelos significa vitigno) comprende sette specie native di regioni a vegetazione fitta e alta del Sudafrica (fatte salve alcune specie che vivono nel fynbos) considerate rampicanti per i loro rami lunghi e contorti portati su una larga base legnosa che per mezzo di foglie ricurve uncinate si ancorano sugli alberi vicini o strisciano. Sono usate come ornamentali nei giardini africani per coprire le recinzioni. Il colore dei fiori varia da giallo vivo (A. commixta e A. tenuior) a arancione (A. striatula) a rosso, rosa o scarlatto (A. ciliaris, A. juddii , A. gracilis ), con molte variazioni cromatiche nelle diverse popolazioni di ogni singola specie. Si incrociano facilmente generando ibridi. A. commixta è molto rara, cresce solo nel Parco nazionale di Table Mountain presso Città del Capo ed è a rischio estinzione. Nel suo habitat naturale è resistente al freddo e al fuoco ma è minacciata da specie aliene invadenti come l’australiana Acacia cyclops, dal passaggio umano (poiché striscia sul terreno) e dalla raccolta illegale. Alta 1 m, ha foglie dritte e fiori giallo-arancio grandi addensati in cima al racemo che si aprono da boccioli rossicci in agosto-settembre. Aloiampelos decumbens è invece una specie strisciante della vegetazione fynbos a portamento ricadente adatta al giardino roccioso con infiorescenze scarlatte lasse che compaiono a intervalli durante l’anno.Il genere Aloidendron (dal greco dendron, albero) comprende le aloe arboree di cui la più gigantesca è A. barberae (ex Aloebainesii) dal nome di Mary Barber, raccoglitrice botanica che per prima trovò questa pianta nell’Ottocento in Sudafrica. La “tree aloe”, come è chiamata in inglese, cresce lentamente ma a maturità arriva a ben 18 m d’altezza e 90 cm di diametro del fusto a corteccia grigio-gialla. Alligna nelle foreste costiere subtropicali ed è usata come ornamentale per la sua forma scultorea, le foglie grigie e i fiori rosati a punta verde. Ne esistono alcuni ibridi come ‘Hercules’, ‘Rex’ e ‘Goliath’, quest’ultimo a crescita rapida. Altra specie interessante, scoperta già nel 1685, è il “quiver tree” o albero faretra, come in inglese è chiamato Aloidendrondichotomum (ex Aloedichotoma) a causa dell’uso fatto dei suoi rami tubolari da parte della popolazione indigena boscimane per costruirsi delle faretre per le frecce dopo averli svuotati. Anche i tronchi servivano per farne contenitori in cui conservare il cibo al fresco. Questa specie, difficile da coltivare, alta fino a 9 m, vive nelle foreste della Namibia e nella Provincia del Capo. Ha rami coperti di pruina bianca per proteggersi dall’eccessivo irraggiamento solare, il tronco invece è ricoperto di scaglie taglienti che scoraggiano i predatori; l’albero si lascia però colonizzare dagli uccelli “tessitori”, dei passeri che costruiscono sui rami nidi riuniti in colonie numerose e si nutrono dei suoi boccioli simili ad asparagi. Alla fioritura in giugno-luglio produce fiori gialli. In carenza d’acqua le foglie verde bluastro si arricciano e gli apici inaridiscono, ma tornano a distendersi con l’arrivo della pioggia. Altre aloe arboree sono ad es. Aloidendrontongaense (Mozambico e Sudafrica), presente anche nella forma ‘Medusa’ grande solo 3 m circa e con fiori salmone chiaro; A. pillansii, pianta alta 10 m e a fiori giallo limone e A. ramosissimum, alta 2-3 m e con fiori giallo canarino, entrambe specie native di Namibia e Sudafrica.
Diffuse in coltivazione oltre ad A. vera e A. arborescens ci sono altre specie usate come ornamentali e da cui sono stati creati ibridi e varietà. In commercio si trovano facilmente, ad esempio, A. brevifolia, A. mitriformis, A. variegata o la costosa A. polyphylla. Circa 200 specie di aloe sono protette dalla Convenzione di Washington del marzo 1973 voluta per salvaguardarne la sopravvivenza nei loro habitat naturali dove sono minacciate da una raccolta eccessiva sia delle loro foglie sia delle piante intere per scopi commerciali lucrativi e dalla distruzione ambientale causata soprattutto dagli allevamenti di bestiame sproporzionati alla capacità del territorio che così si denuda. Le specie più a rischio sono protette dalla CITES (Convention on International Trade in Endangered Species), convenzione avviata nel 1976 per la flora e fauna selvatica.